11 aprile 2015
Dopo 11 ore di volo atterro a Dubai, una breve sosta di 4 ore e imbarco di nuovo diretta a Perth, prima tappa del mio viaggio.
Il porto sicuro, dove ricaricare le batterie e prepararmi alle tappe successive. Qui abita da anni Federica, la mia cugina acquisita, con Staffan, il suo compagno svedese e la sua meravigliosa, superfelice, 1enne figlia Estelle. Non sto nella pelle, apro il finestrino e fuori il cielo è superblu, faccio una foto.
La ragazza seduta accanto a me è di lì, e inizia a raccontarmi di posti che devo assolutamente vedere, non solo a Perth ma anche a Sydney e a Melbourne, e dovrò ringraziare lei per la scoperta del rooftop bar Young&Jackson’s di Melbourne, dove si può bere una birra guardando la Chloé di Lefebvre, un meraviglioso dipinto messo in vendita e comprato dal locale/hotel agli inizi del 900 per 800£ perché troppo scabroso per essere lasciato appeso nella National Gallery of Victoria!
12 aprile 2015
Al mio arrivo una festante tutta-al-femminile accoglienza placa la mia ansia da “oh mio dio, sono arrivata, e mo?”, e senza passare dal via siamo con Federica ed Estelle nel backyard di una villetta festeggiando il primo compleanno di un’amichetta: ci sono tutte mamme giovani, provenienti da tutto il mondo, con figli piccolini, e sono incredibilmente (data l’età dei loro pargoli) serene, distese. Beviamo champagne chiacchierando sedute per terra. Una bimba per strada balla scalza e abbraccia gli alberi…dove sono finita??? E’ tutto bellissimo.
E’ come se tutto quello che hai nella testa inizia a sfocarsi, come se tutte le ansie iniziano a placarsi e ti ritrovi aperta a tutto quello che hai davanti. E’ un inizio, ed è già terribilmente eccitante.
Passiamo la serata mangiando jappo vegan in centro all’Aisuru Sushi, un sushi bar a Northbridge. Ci raccontiamo, tanto, e finalmente riesco a vedere la sua vita qui, dall’altra parte del mondo, e, nel mentre che noi ceniamo, tutta la mia vita, il mio mondo in Europa, finisce di pranzare.
13 aprile 2015
Prima giornata piena, decido di non affollare lo schedule con mille cose da fare per riprendermi dal viaggio e dal jet lag: una camminata in centro, sotto casa praticamente, Murray Street mi ricorda le Champs-élysées, con il passeggio e il viale alberato, e nel mentre scopro che i soldi sono indistruttibili così i surfisti possono dimenticarli in tasca entrando in acqua, compro una sim australiana per integrarmi al meglio e bevendo un long black di Bocelli passeggio ascoltando i Beach Boys.
Nel pomeriggio decido di andare camminando a visitare il famoso King’s park, con il giardino botanico e tutte queste strambe piante che lo popolano. 400 ettari in pieno centro, dove la storia aborigena e la quiete australiana convivono con i grattacieli al di là del fiume.
Mi fermo a scrivere il mio diario di viaggio nel punto più alto, aspettando il tramonto, e inizio a pensare che forse davvero per essere felici basta tirarsi su, fare un bel respiro e guardare quello che abbiamo intorno. Che dall’altra parte del mondo, in vacanza, sembra ovviamente più bello e più magico, ma la realtà è che è il mio occhio ad aver cambiato attenzione, e i colori diventano più accesi e le emozioni più forti. E piano piano inizio a tirare un respiro di sollievo e penso che alla fine del tunnel ci sarà qualcosa di bello e di luminoso, che è sempre stato lì ma la routine e le preoccupazioni non hanno fatto altro che allontanarlo dalla vista. Ma c’è, credo proprio che ci sia!
14 aprile 2015
Terzo giorno, mi alzo presto al ritmo della nipotina che entra gattonando in camera per svegliarmi con una ciabatta in mano, una delle cose più tenere di sempre. Finalmente sa chi sono, e tutte le coccole della serata precedente la portano a riconoscermi e a cercare questa non più estranea che dorme dentro la sua cameretta.
Inizio a pensare a quanto può essere dura per una nonna, uno zio giovanissimo, una famiglia (anzi due), sapere che c’è una bimba così piccola e così speciale che vive dall’altra parte del mondo, e che ogni giorno vive e cresce senza vederli. E la prossima volta che la vedranno sarà cambiata, gattonerà, e magari camminerà e parlerà anche, senza che loro abbiano avuto il tempo di vivere insieme a lei queste cose, passo dopo passo.
Ma penso anche che la tecnologia, le chiamate su Facetime di tutti i giorni, la forza di due genitori che vogliono farle sentire che le famiglie la pensano in Europa in ogni momento (e per questo le insegnano ben tre lingue contemporaneamente!) accorcia le distanze, geografiche ed emotive. E in virtù di una vita migliore tutto questo si può sopportare: guardo loro e sì, si può decisamente fare.
E’ martedì, e come tutti i martedì Federica porta Estelle al baby rhyme time nella libreria di Perth con il gruppo delle mamme, e io vado con loro. Il baby rhyme time altro non è che una delle dimostrazioni della civiltà di questo paese: una mattina a settimana le mamme (che si sono conosciute grazie al “gruppo delle mamme” che la società aiuta a creare facendole incontrare in gravidanza/post parto) portano i bimbi in libreria per cantare insieme per un’oretta sedute per terra.
Vista così avere un figlio sembra più facile, sembra di non essere del tutto sole – sembra così dal di fuori almeno, comparando la stessa situazione con l’Italia (con Roma, poi, neanche a dirlo). La sensazione è che tutti si diano una mano per riempire le giornate di serenità e di allegria, e tutto questo è evidente guardando questi bambini.
Pranziamo con le amiche al sole. Mi sono messa all’ingrasso (incredibile, considerando l’appetito desaparecido degli ultimi mesi): cercando di abituarmi agli orari dei pasti di qui, mi ritrovo a pranzare con loro alle 12 e a farlo di nuovo da sola alle 14, e a cenare alle 18 per poi fare il secondo round alle 21 – dopo aver già tirato tantissimo per resistere. Non sto fumando, considerando che all’aria aperta non è permesso (nelle vie principali, dove c’è la maggiore concentrazione di bambini soprattutto) e che, avendo finito i due pacchetti leciti importabili dall’estero, spendere 20/25$ per pack mi sembra davvero eccessivo. Mi sento meglio, il detox che avevo immaginato mentalmente prima di arrivare non solo si sta realizzando ma è anche piacevole e divertente.
Dopo pranzo partiamo insieme per la mia prima visita all’oceano, da Mosman Park a Cottesloe camminando per la riva del mare (5km a/r).
Guardare il mare e il cielo qui ti dà un’idea di enormità pazzesca, e anche un po’ di timore. Sarà il cielo coperto e un po’ scuro, sarà il mio stato d’animo, ma guardo il mare e penso agli squali e al fatto che l’acqua che vedo schiantarsi a riva (con folle di surfisti annessi a cavalcare le onde) prima di arrivare qui ha fatto il giro di mezzo mondo, e mi perdo a pensare alla pace che mi da lo stare con i piedi sulla terra ferma.
Torniamo a casa con i polmoni pieni d’aria e le gambe stanche, e, accompagnata da una splendida camomilla (che pare piacere solo a me in questo continente!) mi addormento di sasso per la prima volta dall’arrivo.
15 aprile 2015
Quarto giorno, è il 15 aprile e in Italia la mia amica Ludovica compie 30 anni. Ho deciso di andarle a comprare un regalo, qualcosa di speciale, che possa sopperire alla mia mancanza in Italia proprio in questo giorno.
Sulla fedele Lonely Planet ho scoperto la Perth Mint, il palazzo della zecca dove è esposta una collezione di monete, pepite e lingotti d’oro (uno di questi vale 200.000$!), ma dove soprattutto si possono coniare le proprie monete: il regalo perfetto.
Un simpatico omino mi aiuta a sceglierne una d’oro e con grande imbarazzo gli detto la sciocca frase in italiano che dovrebbe farla sorridere. Ovviamente il pover’uomo mi chiede incuriosito di tradurla. Ho scioccato un aborigeno, che dio mi perdoni!, ma anche lui si è fatto quattro grasse risate. Vado alla posta e spedisco il pacchetto, che, mi assicurano, tra un paio di settimane arriverà.
Per arrivare alla Mint faccio una passeggiata di una mezz’oretta, passando per il tranquillo quartiere centrale: trovo una stazione dei pompieri che espone i propri mezzi d’epoca, la Perth Arena, SaintMary’s Cathedral e scorgo in lontananza la famosa Bell Tower (una torre di vetro a punta con all’interno delle campane reali londinesi portate qui – portate fisicamente da Londra in Australia – negli anni ’80). C’è il sole e io mi sento rilassata, rappacificata con me stessa e anche un po’ più civile.
Per il pomeriggio decido che è arrivata l’ora di lanciarsi all’avventura, voglio conoscere gli animali più famosi di questo continente: canguri (e koala), I’m coming!
Decido di andare al Caversham Wildlife Park, dentro al grande parco di Whiteman (4000 ettari), a una ventina di km a nord del centro della città. Passo il pomeriggio non solo a guardare da fuori il famoso (bruttarello) Wombat, ad accarezzare gli addormentatissimi koala e a farmi volare sulla testa una serie infinita di uccelli mai visti, ma soprattutto a dare da mangiare e coccolare per bene i canguri! Sono degli animali troppo strani, con zampe e code paurose per grandezza e potenza e la testa quasi umana (capaci a mio avviso di fare buffe facce se fotografati).
Torno a casa. E, prima di dormire, penso: “Nessun essere umano è mai stato in grado di farmi quelle facce!”
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16 aprile 2015
Quinto giorno, ci svegliamo con calma e decido che nell’ottica del mio detox moment è arrivato il momento di avere la mia prima lezione di Yoga. Qui sono tutti salutisti, camminano tanto, mangiano cibi sani e ovviamente lo yoga non solo è in voga ma fa parte del quotidiano di tantissime persone, e Federica da salutista nata quale già era da sempre, non poteva non aver continuato su questa via, mi consiglia lo Yoga Vine in St Georges Terrace.
Opto per il Vinyasa Basics, e nonostante il “basic” non è affatto facile come prima lezione: in una lingua che non è la mia, cercando di capire a quali muscoli e ossa si stia facendo riferimento (parole che potrei conoscere in italiano, forse, ma di certo non in inglese!), cercando di rilassarmi e nel contempo di sciogliere il mio rattrappito corpo che non si muove dalla scrivania/macchina da anni. Ma nonostante tutto questo, riscopro delle possibilità elastiche e toniche che non credevo di avere, seguo tutta la lezione. All’uscita barcollo, ma sono davvero rilassata.
Mi fermo a parlare con Donna, una delle proprietarie dello studio, che al sentire che andrò a Bali come ultima meta del mio viaggio e che ho intenzione di stazionare per un po’ a Ubud mi consiglia vivissimamente lo Yoga Barn, una famosa struttura dell’isola diventata fulcro per lo Yoga in tutto il mondo. Non la ringrazierò mai abbastanza per quel foglietto con il nome appuntato, lo Yoga Barn è stato uno di quei posti dove ho lasciato il cuore a Bali.
A pranzo di nuovo sull’oceano. Il tempo è bello, Estelle è da un’amica. Passiamo il pomeriggio chiacchierando senza sosta, raccontandoci tutto e più di tutto, camminando sulla riva del mare a Scarborough, facendo foto saltanti al tramonto come quando avevamo 18 anni.
Che bello, dieci anni dopo abbiamo la stessa faccia, la stessa energia, né i figli né la vita ci hanno cambiate. Mi sento finalmente libera, come se avessi chiuso il mondo al di fuori e stessi finalmente ascoltando solo quello che Francesca vuole fare, guardando l’oceano, ridendo per ore e saltando sul tramonto.
Fino a far diventare buio e quasi morire di paura camminando nel bush nero come la pece, con le scarpe in mano e senza una luce, che dico mettetecela no?, con la paura di essere assaltate da uomini o animali selvatici che popolano la zona. Ma se deve essere un’avventura, che avventura sia! Ce la caviamo, e indenni arriviamo a Fremantle, una delle più famose cittadine sulla costa della zona (che qui tutti chiamano Frio, non si sa perché, neanche Google mi aiuta) e capisco arrivandoci il perché. E’ come trovarsi in una cittadina del sud dell’Inghilterra ma con gli spazi e le comodità di un posto creato di recente.
Andiamo da Little Creatures per cena, una famosa birreria artigianale, e il bellissimo locale sovraffollato dove mangiamo cibi sani e beviamo buona birra ci dà l’ultima sferzata di allegria che già aveva pervaso l’intera giornata.
Posso dire che inizio a sentirmi proprio felice? Sì, felice. Spesso tutti i miei casini tornano davanti agli occhi, come il fumo di una sigaretta non spenta nel posacenere, ma a differenza di qualche giorno fa riesco a deconcentrarmene cercando dentro di me la persona che sono, e che alla fine amo, ma troppo spesso me ne sono dimenticata inseguendo qualcosa di più certo, di più calmo, di più carino e di più educato. Mi viene in mente ‘così fan tutte’, ma io non sono tutte, e non voglio essere tutte!
17 aprile 2015
Sesto giorno, penultimo, mi intristisco pensando di dover già lasciare questo acquisito senso di quotidianità, di confidenza e di “casa”. Penso a casa, penso alla casa, alla mia casa, che non vedo da una brevissima settimana che è però durata un mese nel mio ciclo di vita. Ho scoperto di poter essere in pace con me stessa, qui, lì, là e anche dall’altra parte del mondo, da sola, senza problemi. Ho capito che la vita opaca e sbiadita che vivo tutti i giorni non è così di per sé, lo è perché il mio sguardo è annoiato in partenza e il mio cervello lo recepisce come se non ci fosse niente da vedere né da analizzare, ma il mondo è pieno di cose emozionanti, di persone con storie interessanti e di nuovi luoghi da scoprire.
Passiamo la giornata al parco con Estelle e nel pomeriggio di nuovo sull’oceano, a nord di Scarborough, per cenare insieme a Veronika, una ragazza slovacca piena di vita che si è stabilita a Perth da anni come Federica. Parliamo di quanto sia diversa l’Europa rispetto a questo continente, di quanto la storia che qui manca completamente sia poi di fatto diventata per il vecchio continente un peso da trainare piuttosto che una risorsa vera e fruttuosa. La vita che entrambe fanno qui (paragonata allo stress e alla difficoltà nella ricerca di possibilità economiche italiane) è facile, è possibile, è una vita possibile.
E questo mi fa pensare a quale incredibile peccato sia per l’Italia, considerata un paese costoso (per i turisti di questo lato del globo neanche a dirlo) ma dove contemporaneamente non si riescono a trovare soluzioni durature, dove tutti i giorni ognuno si auto-infligge il pensiero di quanto i governi sbaglino, di quanto i soldi non ci siano, e di quanto l’incazzatura sia la vera spinta quotidiana.
Il tramonto fuori dalla parete vetrata mi riporta in pace.
18 aprile 2015
Settimo, e ultimo giorno. Stasera alle 18 inizia la mia “saga dell’aereo”, con una serie di voli da prendere a distanza di pochi giorni uno dall’altro per proseguire il mio giro.
La mattina ci svegliamo presto e ne approfittiamo per andare a Hillary’s con le ragazze: Veronika e altre due ragazze europee.
C’è il sole e facciamo shopping comprando vestiti per Bali (come se a Bali non ne vendessero già abbastanza!!), ne compriamo uno identico sia io che Fede, che partirà per Nusa Dua il giorno dopo il mio rientro in Italia.
Non pensiamo al rientro in Italia, non ne parliamo, come se non avessi neppure il biglietto tra le mani. Mangiamo, bevendo birra e abbronzandoci un po’ (io meno delle altre, considerando il biancume della mia carnagione acquisito con anni di auto-esilio da spiagge e piscine). Mi faccio tirare le guance da Estelle che, nel mio cervello, sembra aver capito che sto per andare via e vuole punirmi per questo (o forse vuole solo teneramente trattenermi qui, perché devo sempre pensare alla peggiore delle motivazioni?! Maledetta convinzione cattolica).
A pranzo parliamo dei problemi che anche qui ci sono, soprattutto per le vicende legate al lavoro e al visto. Per le aziende australiane, al momento dell’assunzione, avere o non avere un permanent resident visa o (meglio ancora) il passaporto australiano fa la differenza, e tanto. E questo è un po’ triste: c’è la possibilità di entrare, di restare per un po’ e di provarci, ma poi di fatto è molto difficile riuscire a realizzare davvero il progetto iniziale d’ingresso, qualunque esso fosse.
Una di queste ragazze era arrivata qui giurando a sé stessa che non sarebbe mai più tornata a vendere farmaci, e invece, dopo qualche anno di tentativi non riusciti e con il governo alle spalle che le chiede di andare, ha ricominciato a pensarci.
Mi metto a pensare alle convinzioni, e ai fallimenti. Alle mie convinzioni, che mi hanno portata a sacrificare ogni nuova ed eventuale possibilità negli ultimi dieci anni perché convinta che il piano che avevo in testa fosse il più giusto. E ai fallimenti, che mi sembrava di non aver vissuto fino ad oggi e che invece ho semplicemente non-considerato, continuando ad andare avanti con lo “stick to the plan” mood, e che mi hanno fatta diventare la persona che sono oggi.
Posso fallire, e devo fallire, ma con auto-onestà e in presenza: se mi fossi ascoltata un po’ di più nel momento del fallimento forse non mi ritroverei a pensare queste cose dall’altra parte del mondo, in vacanza, chiedendomi se forse anche il fatto di essere qui potrebbe essere considerato un fallimento visto dalla mia super-organizzata-pienadicose-frenetica-vita romana. Ci penserò poi, per ora facciamo una bellissima foto, felici di essere qui e del tempo trascorso insieme.
Andiamo verso l’aeroporto e, chiudendo il bagagliaio dell’auto dopo aver riposto una rapida spesa, il peggiore degli interrogativi salta fuori: DOVE SONO LE MIE VALIGIE?
Panico: ricordiamo di averle prese da casa, sì le abbiamo prese di sicuro, e di averle portate giù con l’ascensore, sì ne sono certa, ma poi da lì buio. Devono essere rimaste davanti all’ascensore al piano del garage di casa. E se qualcuno le avesse prese? O se le avessero portate all’amministratore del building perché trovate lasciate lì abbandonate a sé stesse? Non ci voglio pensare. Ottimismo Fra, sei un’imbecille ma resta ottimista!
Ed infatti i bagagli erano lì ad attenderci e riusciamo a raggiungere l’aeroporto in tempo. Conscio 1 – Inconscio 0. Credevi di riuscire a non farmi partire grazie a questo geniale piano del dimenticarsi le valigie eh, caro il mio inconscio? E invece no, tiè, il mondo mi attende.
Abbraccio Fede, bacio appassionatamente Estelle, vorrei che venissero con me, vorrei poterle avere vicine in tutte le nuove esperienze che mi attendono (sono quasi preoccupata, e non è da me esserlo). Stamattina ho scritto una lettera a Federica, glie l’ho lasciata nascosta in casa e le dico dove trovarla non appena riparte con la macchina. In lacrime tutte e due pensiamo a quanto questa settimana sia arrivata tardi nelle nostre vite, a quanto sciocca sono stata a non venire prima per staccare un po’ la spina prima di farla bruciare completamente, a quanto complicato sia pensare di partire e quanto poi sia facile farlo davvero.
Melbourne, Marvellous Melbourne, sto arrivando!
…to be continued…
Un pensiero su “Part 1: Australia, Perth, 7 giorni”