Ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normali

Oggi ho capito una cosa: non sono normale. Qui ne vediamo una diapositiva rappresentativa:

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Assumiamo per un momento che esista un vero e proprio concetto riconosciuto di normalità, in base al quale le scelte di vita, le scelte di selezione delle persone con cui relazionarsi o la scelta della modalità del proseguire nel mondo durante il corso della propria vita vengano distinte tra normali e anormali.

Le persone guardano quello che facciamo, quello che diciamo, dove andiamo e come ci andiamo ed in base a quello che riescono a vedere decidono se il nostro stare al mondo rientra in un percorso normale oppure se no, mmm, sei un po’ strana, perché fai così? Sei sicura di essere normale?

Ecco, mi sa che io non sono normale allora. O meglio, lo sono a metà.

La mia vita ad oggi è composta da due linee, parallele, che proseguono dritte puntando entrambe alla felicità in modi diversi: c’è la mia vita del percorso, all’interno della quale ogni mattina mi alzo, mi preparo, vado a lavoro e do il 300%, mantenendo una linea, una guida ordinata, ideando e seguendo processi precisi, i perimetri, la comfort zone.

Torno a casa, mangio sistemo guardo qualcosa e dormo. Faccio delle corsette mattutine alle volte, oh, ho quasi 30 anni, vi assicuro che a un certo punto anche il pesare 50kg sempre e comunque non è più sufficiente, il corpo va sostenuto. Tutto procede senza inganno, senza inaspettate cose, senza pericolo e senza dramma. 

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E poi c’è la vita dell’emozionarsi, quella che mi tiene viva, quella che fa da aria per riempire i miei polmoni e che non posso controllare, qui tutto è inaspettato. Qui oggi faccio yoga per ore chiusa in camera sul mio nuovo tatami, o vado a fare una corsa di notte, o esco con nuove inaspettate amiche e vagando conosciamo persone, alcune belle alcune meno, e durante una festa ci ritroviamo alla ricerca di una falsa ragazza scomparsa, un finto prete ci tira una finta ostia in faccia dopo averci venduto finte pilloline, qui oggi sono una pianista e domani una scrittrice, poi una snowboarder e una viaggiatrice solitaria che si sveglia una mattina e compra un biglietto singolo per il 31 dicembre.

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Qui ho tre numeri di telefono, e di solito nessuno dei tre prende, non rispondo ai messaggi per giorni, la mia macchina si rompe spessissimo, e vengo riaccompagnata a casa da persone a caso conosciute sulla metro, o il tabaccaio ruba il mio numero mentre faccio la ricarica, o la vicina di posto sulla metro mi chiede se mi sento bene perché rido a crepapelle leggendo un libro, qui la linea non c’è.

Qui succede ogni cosa e ogni giorno è la mia avventura, e qui è dove io sono veramente viva. 

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E quindi tutto questo a che serve? Che significa?

Quello che mi chiedo io è: ma deve veramente significare qualcosa? Non posso essere così e basta? E soprattutto, è tanto strano se tutto questo per me è normale? 

Non lo so, ma so che sicuramente le uniche cose che non voglio perdere mai sono la capacità di ridere a crepapelle e piangere disperatamente, di innamorarmi di un’idea e domani di una nuova, di voler visitare tutto il mondo in tutte e quattro le stagioni, e di aspettare che un giorno una persona che possa capire e amare tutto questo entri nella mia vita e come un tornado spazzi via la rassegnata convinzione che siamo esseri nati per stare soli, per avvicinarci al pianeta terra e divertirsi ma poi tornarcene sul nostro bel masso di terriccio caldo deserto dove dormire beatamente.

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