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Scilla – Tra il mito, la fantasia e la realtà

All’inizio Scilla era una ninfa dagli occhi azzurri, viveva in Calabria ed era solita recarsi sulla spiaggia di Zancle e fare il bagno nell’acqua del mare. Una sera, vicino alla spiaggia, vide apparire dalle onde Glauco, un dio marino metà uomo e metà pesce.

Scilla, terrorizzata alla sua vista, si rifugiò sulla vetta di un monte che sorgeva vicino alla spiaggia. Il dio, vista la reazione della ninfa, iniziò ad urlarle il suo amore, ma Scilla fuggì lasciandolo solo nel suo dolore.

Allora Glauco si recò dalla maga Circe e le chiese un filtro d’amore per far innamorare la ninfa di lui, ma Circe, desiderando il dio per sé, gli propose di unirsi a lei.

Glauco si rifiutò di tradire il suo amore per Scilla e Circe, furiosa per essere stata respinta al posto di una mortale, volle vendicarsi.

Quando Glauco se ne fu andato, preparò una pozione malefica e si recò presso la spiaggia di Zancle, versò il filtro in mare e ritornò alla sua dimora.

Quando Scilla arrivò e s’immerse in acqua per fare un bagno, vide crescere molte altre gambe di forma serpentina accanto alle sue, che nel frattempo erano diventate uguali alle altre. Spaventata fuggì dall’acqua, ma, specchiandosi in essa, si accorse che si era completamente trasformata in un mostro enorme ed altissimo con sei enormi teste di cane con tre file di denti ognuna, un busto enorme e delle gambe serpentine lunghissime.

Per l’orrore Scilla si gettò in mare e andò a vivere nella cavità di uno scoglio vicino alla grotta dove abitava anche Cariddi.

Sono stata fuori per un weekend di incontri per lavoro, un evento affollato dai Ninja della futura comunicazione digitale, come spesso mi capita nel corso dell’anno.

Ma per la prima volta, in assoluto, invece di incontrarci in queste fiere illuminate da terribili luci al neon, o in qualche albergo milanese molto in dove nessuno ti dice buongiorno o sotto i portici bolognesi dove la distrazione è molto più forte del dovere, stavolta siamo stati convocati nel punto più sperduto della punta conclusiva italiana: Scilla, Calabria.

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Sono sicura che un sacco di persone conoscono queste località, per lo meno ‘di nome’ a causa del mito sopramenzionato, ma sono certissima di poter affermare che sono ancora troppo poche, data l’unicità profonda che rappresenta questo paesino arroccato su una lingua di sabbia acciambellata teneramente sulla costa di un mare blu.

Alcune volte mi trovo qui a scrivere solo per la voglia di farlo, o per il voler tenere traccia poi dopo nel tempo di quello che ho vissuto. Altre volte invece, come oggi, sono qui di prima mattina, con gli occhi ancora stropicciati, ancora non completamente sveglia, contando i minuti che restano prima di dovermi scapicollare per correre a lavoro, sono qui perché ho un’urgenza.

Ho l’urgenza di mettere nero su bianco qualcosa che ho paura di dimenticare, e questo qualcosa è: i luoghi in cui accadono le cose sono importanti.

I luoghi in cui accadono cose vere, vive, piene di vita e di entusiasmo.

I luoghi tipo Scilla, dove il sud, il cibo, le persone, l’aria, il mare e le scalinate sono lì per ricordarti come si sta al mondo in verità, di quelli che sono i veri, unici, punti fondamentali della vita delle persone. E non sono di certo i risvoltini ai pantaloni o il posto fisso (di cui mi chiedo ogni tanto se frega ancora qualcosa a qualcuno, spero di no, ma questo è un altro discorso), ne le paure per decisioni complicate che si sente la necessità di prendere. No, sono solo queste: il cibo, l’aria, le persone, il mare e le scalinate (e per scalinate intendo che devi faticà un po’, non puoi mica sta sempre a tavola a mangiare pasta a vongole col vino bianco).

Ho finito i minuti, la giornata può cominciare.

Ah no, prima una diapositiva di una persona felice in mezzo a un contesto sgarrupato, un po’ la metafora della mia vita, con canzone a tema.

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